Volontà, intraprendenza e capacità di interagire tra volontari e operatori
Intervista alla psicologa Agata Mfynik, coordinatrice del Progetto europeo “A new way to social skills”
di Ernesto Bodini
(giornalista scientifico)
Dott.ssa Mfynik, quali sono le sue osservazioni in merito a questo progetto europeo, che finora ha coinvolto 6 Paesi europei e che magari sarebbe estensibile ad altri Paesi dell’Unione?
“Per noi è stata una grande opportunità quella di interagire reciprocamente in quanto abbiamo potuto constatare i diversi approcci e modi di lavorare. Abbiamo impostato il nostro lavoro sulle abilità sociali e sul come svilupparle, verificando nel contempo come ciascun gruppo si “destreggiava” per migliorare tali abilità tenendo conto dei vari contesti come le difficoltà pratiche e l’emarginazione”
Ci sono Paesi dell’Unione Europea che non condividono queste iniziative, o ne “ostacolano” l’attività?
“Non penso che ci siano Paesi che si oppongano a progetti di questo genere. Noi, ad esempio, abbiamo lavorato con la Turchia, che peraltro non è ancora Stato membro dell’Unione (ma che vorrebbe esserlo), la quale ha condiviso con noi la sua esperienza dando alla pari il proprio contributo. Sono certa che troveremo sempre delle persone disponibili nel portare avanti progetti di questo tipo”
Quali i problemi maggiori che possono rendere, o rendono, difficoltoso sensibilizzare l’opinione pubblica nel trasmettere la cultura della rieducazione e del reinserimento sociale del detenuto?
“Ciascun Paese ha incontrato difficoltà diverse in quanto ci sono contesti e culture diverse, come diverse sono le leggi dei vari Paesi che regolano la conduzione di un’attività (come il volontariato) all’interno di un carcere. Il valore aggiunto di questo progetto, ad esempio, sta nel fatto che abbiamo lavorato congiuntamente riuscendo a superare determinate barriere…”
Il volontario e il detenuto. È una sorta di “sinergia” e di buona intesa collaborativa?
“Nel nostro Paese (la Polonia), ad esempio, in genere sono le guardie carcerarie che collaborano con i volontari, mentre i detenuti preferirebbero lavorare direttamente con i volontari perché questi rappresentano la realtà esterna, che portano all’interno le “novità” sociali, culturali, etc.”
Quali sono le ragioni principali che motivano questi giovani a svolgere attività di volontariato all’interno di un carcere?
“In realtà ogni persona focalizza la propria attenzione sugli altri: noi non siamo singoli individui ma siamo persone che vivono insieme… In base alla mia esperienza non è stato particolarmente difficile coinvolgere persone a prestare la propria opera in carcere, mettendo a disposizione il proprio intento e le proprie competenze; e questo perché siamo persone che fanno parte di un tessuto sociale, e rendersi disponibili credo che sia insito nella natura umana”
La foto è stata gentilmente fornita dai volontari de La Brezza Onlus